Se
c’è una “colpa” nello studio dell’Oms, è quella di non tenere conto
degli stili di vita e delle peculiarità di consumo nei diversi Paesi. Ma
così si rischia di penalizzare un settore strategico, e peraltro già in
forte sofferenza, come quello della zootecnia. Tanto più che in Italia
il consumo di carni e salumi è metà della soglia di rischio indicata
dalla stessa Organizzazione mondiale della sanità. Lo afferma il
presidente nazionale della Cia-Confederazione italiana agricoltori Dino
Scanavino.
Secondo
le ultime stime, il consumo annuo di carne in Italia oggi si attesta al
di sotto degli 80 chili pro capite, di cui 21 chili per carne bovina;
37 chili per carne suina; 19 chili per carne avicola e poco meno di 2
chili per carne ovina. “Questo determina che il consumo di carne nel
nostro Paese -spiega Scanavino- sia molto al di sotto delle soglie di
rischio dell’Oms: gli italiani mangiano in media 2 volte la settimana
100 grammi di carne rossa e appena 25 grammi al giorno di carne
trasformata”. Ma vi è un altro elemento che non è stato considerato: “Le
carni italiane sono tutte di altissima qualità -continua il presidente
della Cia- non sono trattate con ormoni e sono ottenute nel rispetto del
benessere animale e dei rigidi disciplinari di produzione delle Doc”.
Per
contro, la zootecnia vive una crisi fortissima e solo grazie all’export
il comparto delle carni e dei salumi “made in Italy”, che vale 30
miliardi e dà lavoro a circa 130 mila persone, sta reggendo la
congiuntura negativa.
“E’
anche il caso di notare -osserva Scanavino- che gli oncologi italiani
hanno affermato, a fronte delle dichiarazioni dell’Oms, che mangiare
carne due volte alla settimana e alimentarsi in modo equilibrato con i
salumi di qualità italiani, non ha alcun effetto sulla salute, anzi. Va
inoltre considerato che in Italia ci sono oltre 600 diversi salumi, che
sono espressione della biodiversità e della varietà del nostro Paese”.
Del
resto, ricorda il presidente nazionale della Cia, “non è la prima volta
che si colpisce la zootecnia e il settore dell’allevamento con allarmi
ingiustificati, almeno per l’Italia: successe con la Bse, la cosiddetta
mucca pazza, accadde con l’influenza aviaria: una psicosi che determinò
il crollo del settore avicolo senza nessuna evidenza scientifica”.
Ecco
perché “vogliamo evitare che tutto questo si ripeta oggi. Come
agricoltori siamo impegnati a offrire ai consumatori cibo sano e di
qualità e oggi sentiamo la necessità di rinsaldare quel legame
fiduciario garantendo i nostri prodotti. Semmai l’Oms dovrebbe vigilare
sull’uso di mangimi di dubbia qualità, su stili di consumo che nulla
hanno a che vedere con l’Italia. Vi è un richiamo da parte dell’Oms alla
dieta mediterranea: giusto, ma s’ignora che Spagna e Italia sono anche i
Paesi con la maggiore produzione e il miglior consumo ad esempio di
prosciutto crudo. Per questo chiediamo sia al Mipaaf che al ministero
della Sanità di riaffermare, oggi più che mai, la qualità e la salubrità
dei nostri prodotti e del nostro regime alimentare. Quel regime
alimentare -conclude Scanavino- che è possibile grazie all’impegno e al
lavoro delle imprese agricole che rischiano di essere ingiustamente
penalizzate da questa campagna di nuovo allarmismo”.
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