Entrare in clinica per un intervento di ampullectomia e asportazione di lesione duodenale in via endoscopica, e morire per una perforazione intestinale che ha portato al sopraggiungere di una grave sepsi. Questo è quanto è accaduto a Roma, ad una donna di 76 anni.
Ancora un caso di malasanità nel nostro paese, che ha spinto i familiari della vittima ad intentare causa, affidata all'Avvocato Gabriele Chiarini, esperto in malpractice sanitaria. Un procedimento legale che si è concluso poche settimane fa con un accordo transattivo che ha riconosciuto ai figli della donna un risarcimento calcolato in termini di perdita di chances di sopravvivenza, stabilito in euro 325.000,00.
Particolarmente significativi in questo caso sono stati i tempi di definizione della vertenza. Dall'apertura del sinistro alla concreta determinazione del risarcimento da malasanità sono trascorsi meno di 12 mesi, un lasso temporale decisamente inferiore alla media di gestione di queste complesse vicende cliniche, anche grazie alla collaborazione da parte della Struttura Sanitaria e al riconoscimento della propria responsabilità conseguente all'avvenuta perforazione dell'intestino nel corso dell'operazione chirurgica.
"Non vi è alcun dubbio che ad uccidere questa donna è stata un'inadeguata esecuzione delle manovre chirurgiche in occasione dell'intervento di ampullectomia, che ha causato la perforazione intestinale. Si era, infatti, verificata un'emorragia, complicanza di per sé piuttosto frequente in questo genere di interventi, ma nel tentativo di risolvere quanto accaduto, è stato perforato l'intestino della donna. – Spiega l'Avvocato Gabriele Chiarini – Inoltre, a peggiorare il quadro generale, è stata una verosimile omissione del rispetto delle basilari procedure atte a garantire la sterilità degli ambienti, del personale e delle attrezzature sanitarie, nonché una mancata adesione alle misure di prevenzione e di trattamento delle infezioni ospedaliere. Questo ha portato la paziente a sviluppare un'infezione correlata all'assistenza ospedaliera particolarmente aggressiva, che non è stato possibile debellare".
"Le infezioni che vengono contratte in ambito ospedaliero risultano spesso resistenti ed estremamente aggressive, per questo il personale medico-sanitario è tenuto, da un punto di vista sia etico sia legale, al rispetto di rigidi parametri. Purtroppo, però, molto spesso ci troviamo di fronte a casi di pazienti che contraggono queste infezioni proprio per la superficialità o la disattenzione di medici e infermieri. Pensate che ogni anno circa 31 milioni di pazienti in tutto il mondo contraggono una sepsi nosocomiale, e di questi, oltre 5 milioni non riescono a sconfiggerla" conclude l'Avvocato Chiarini.
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