Roma, 15 maggio 2018. In Italia le sigarette elettroniche sono "sotto attacco" da anni. Il nostro Paese, nel 2014, è stato il primo in Europa ad introdurre una tassazione sui liquidi da "svapo" per far fronte alla diminuzione delle entrate erariali derivanti dalle sigarette tradizionali. E la tassa negli anni ha conosciuto un aumento fino a quasi 0,40 euro a millilitro.
Una condizione, questa, che ha estremamente limitato il settore del fumo elettronico italiano, oltre a ridurre il numero dei fumatori che hanno scelto le e-cig. In definitiva, nonostante la comunità scientifica sia ormai ampiamente concorde sul fatto che le sigarette elettroniche siano almeno del 95% meno dannose delle tradizionali, l'interesse e le scelte dei governi italiani sui prodotti nicotinici a rischio ridotto – come le e-cig – sono state finora ispirate a motivi di natura esclusivamente finanziaria.
A tracciare questo profilo della situazione del fumo elettronico in Italia è l'European Policy Information Center (Epicenter), Think Tank indipendente che elabora ogni anno il Nanny State Index, la classifica degli Stati che si distinguono per un approccio proibizionista, se non "paternalista", nella tassazione e regolamentazione di beni di consumo come alcolici, cibo, sigarette, tabacco, bibite gassate.
Per il 2018 l'Epicenter - promosso da una serie di organizzazioni tra cui, per l'Italia, l'Istituto Bruno Leoni - ha elaborato un report supplementare che riguarda esclusivamente le politiche relative ai prodotti nicotinici a rischio ridotto, a cominciare dalla sigaretta elettronica. E il risultato, almeno per il nostro Paese, non è affatto lusinghiero.
Nella classifica dei 30 Paesi presi in considerazione (i 28 dell'UE, più la Norvegia e la Svizzera), l'Italia si pone al 21° posto, a diverse lunghezze di distanza dagli altri grandi Paesi dell'Unione come la Germania (2°), la Francia (8°), la Spagna (13°), il Regno Unito (2°).
Ad incidere maggiormente sulla performance negativa dell'Italia è anzitutto l'eccessivo peso del fisco sul settore.
Su questo, infatti, il nostro Paese ha ricevuto il maggior punteggio, cioè il peggiore secondo i criteri dell'Index. Oltre all'aumento dei prezzi, determinato dalla tassazione o dal monopolio, i criteri utilizzati per la definizione della classifica sono: la «stigmatizzazione» dei consumatori, la limitazione della scelta dei prodotti, il disturbo arrecato ai consumatori, i limiti posti all'informazione dei cittadini anche attraverso i divieti alla pubblicità, la limitazione della qualità dei prodotti dovuto anche a divieto di utilizzo degli aromi.
Così, se le cose vanno male anzitutto per le tasse, risultati meno negativi si registrano invece per quanto riguarda la possibilità di utilizzare prodotti da svapo nei luoghi pubblici, i divieti sul prodotto e la pubblicità. Anche se – si legge nel rapporto – nel gennaio 2018 il Governo "ha creato di fatto un Monopolio di Stato per la vendita delle sigarette elettroniche, vietato le vendite transfrontaliere e proibito tutte le vendite on line".
"Si tratta purtroppo di un ritratto molto fedele alla realtà" - ha commentato Umberto Roccatti, Presidente di ANAFE, l'Associazione Nazionale Produttori Fumo Elettronico aderente a Confindustria che ha aggiunto: "E' lo stesso rapporto ad affermare che posizioni e scelte «paternalistiche» possono certamente tutelare i cittadini dal fumo di tabacco e da abitudini non proprio sane legate agli eccessi del cibo e di alcune bevande. Tuttavia, leggi e regolamenti che limitano o scoraggiano l'uso delle e-cig non solo rischiano di restringere la sfera delle libertà personali ma, con ogni probabilità, possono anche danneggiare la stessa salute dei cittadini. Lanciamo quindi un appello alle forze politiche e al prossimo governo per invertire questa tendenza, a cominciare anzitutto dal fattore fiscale ormai insostenibile per un settore capace di generare sviluppo economico e occupazionale, ma in grado anche di rappresentare una valida alternativa per la riduzione del rischio".
Oltre a stilare la classifica degli Stati più o meno "liberali" nel settore delle sigarette elettroniche, il Nanny State Index fa il punto sulle abitudini legate all'uso delle e-cig e le caratteristiche che ne fanno un prodotto a rischio ridotto.
Non c'è solo l'ampio consenso della comunità scientifica sulla minore tossicità, pari almeno al 95% rispetto al fumo di tabacco tradizionale.
Il rapporto ricorda anche che la grande maggioranza degli "svapatori" sono ex o attuali fumatori. Inoltre, raramente le e-cig sono utilizzate da minori, o giovani, che non hanno mai fumato prima e sono infondate – sottolinea il rapporto Epicenter – le posizioni di coloro che considerano le e-cig una porta d'accesso al fumo tradizionale.
In Europa, infatti, meno dello 0,5% di chi non ha mai fumato utilizza le sigarette elettroniche, e molti fumatori hanno scelto le e-cig come sostituito permanente del tabacco combusto. Non è un caso se in un mercato di riferimento, come quello della Gran Bretagna, la percentuale di fumatori sia diminuita a ritmi particolarmente veloci dal 2012, anno in cui le e-cig diventano definitivamente un prodotto di consumo ampiamente diffuso, dopo anni di stasi.
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