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venerdì 5 febbraio 2016

Special Strike - CONVEGNO Il sistema trasfusionale italiano a 10 anni dalla legge 219/2005: l’esperienza piemontese


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5 febbraio 2016
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Il sistema trasfusionale italiano a 10 anni dalla legge 219/2005: l'esperienza piemontese
 
L'inserimento della medicina trasfusionale nei LEA è un risultato straordinario hanno ribadito concordi gli esperti presenti come la forte e reale partecipazione del volontariato organizzato del sangue, unico soggetto, al di fuori del SSN e Regionale a cui è delegata la promozione della donazione e la fidelizzazione dei donatori.
 
Raggiunto l'obiettivo dell'autosufficienza del sangue a livello nazionale adesso occorre centrare il traguardo di quella del plasma e degli emoderivati sempre mantenendo gli elevatissimi standard della qualità e della sicurezza del sangue.
 
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Torino, 5 febbraio 2016 - A meno di quattro mesi dal decennale della legge 219 sul sistema trasfusionale e dal convegno celebrativo promosso da Avis Nazionale alla Camera dei Deputati a Roma, l'Avis Regionale del Piemonte ha deciso di organizzare una giornata di approfondimento a Torino presso l'Aula del Consiglio Regionale del Piemonte.
 
Dopo i saluti istituzionali, Vincenzo Saturni, Presidente di Avis Nazionale ha ricordato i capisaldi della legge e indicato ciò che si può migliorare a 10 anni dall'entrata in vigore di questa legge: "La medicina trasfusionale inserita nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) garantisce l'uniformità di trattamento in questo ambito sia per i donatori sia per i pazienti che hanno la necessità di essere trasfusi.
 
L'autosufficienza – cioè la disponibilità di tutti i prodotti derivati dal sangue – deve derivare da donatori periodici non remunerati, con una garanzia per tutti e che sia un'autosufficienza non di livello locale, ma nazionale. La gratuità del sistema, sia della donazione sia della trasfusione eccettuati i costi necessari per sostenere tutti i processi e i percorsi sono dei capisaldi che anche se si dovesse mettere mano a una revisione della legge 219 vanno mantenuti e valorizzati.
 
Gli aspetti organizzativi in materia di Sanità sono demandati alla Regioni, serve quindi trovare un modo per un coordinamento politico e tecnico – organizzativo in quanto la programmazione dell'attività donazionale deve essere su un indirizzo nazionale. Il Centro Nazionale Sangue e le strutture regionali di coordinamento dovrebbero trovare un ulteriore rinforzo nei territori dove operano e lavorare con una programmazione concordata con le associazioni di donatori per garantire che ci sia un puntuale afflusso di donatori per donazione e che non manchi mai il sangue quando serve e fare in modo che non se ne sprechi, da qui la rilevanza dell'appropriatezza.
 
Noi puntiamo molto su un coinvolgimento sempre più forte delle strutture regionali di coordinamento e delle Regioni che inseriscano nella programmazione sanitaria di quel territorio tutte le tematiche trasfusionali".
 
Sul futuro della 219, il dottor Saturni è stato chiaro: "Ad oggi non è stata avanzata alcuna proposta intervenire per una revisione della legge. Chiaramente parlando con gli uffici tecnici del Ministero che vivono la situazione più da vicino ci si rende conto che ci sono degli aspetti da rivedere. Il fatto che oggi riprendiamo l'argomento con un'attenzione regionale è molto positivo".
 
Maria Rita Tamburini, direttore Ufficio VIII Sangue e Trapianti Ministero della Salute,  ha sottolineato come "Oggi in Italia si effettuino oltre 8.300 trasfusioni al giorno e i donatori periodici sono elemento di sicurezza del sistema sangue che deve garantire uniformi livelli essenziali di assistenza in campo trasfusionale. Occorre proseguire su questa strada puntando a migliorare sempre più di l'appropriatezza mantenendo i nostri elevatissimi livelli di standard di qualità e di sicurezza".
 
Significativa la presenza in aula di Emilia Grazia De Biasi, presidente della Commissione Igiene e Sanità del Senato che ha esordito puntualizzando un aspetto importante: "Si chiama Servizio Sanitario Regionale non Sanitario, avere 21 SSR diversi è davvero difficile".
E ha poi denunciato: "E' una vergogna che alcune Regioni oggi non eroghino il farmaco per l'epatite C, che i pazienti debbano spostarsi in altre regioni per ottenerne la somministrazione e poi in ogni caso le regioni che oggi lo erogano inviano i costi di somministrazione del farmaco alle regioni di provenienza dei pazienti. Le politiche sanitarie regionali devono essere armonizzate".
 
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