É un problema che affligge grandi e piccoli, condizionando l'individuo nell'organizzare la sua vita sociale e demotivandolo. Il meccanismo di trasmissione del disturbo non è ancora del tutto chiaro, ma recenti studi clinici hanno rintracciato le motivazioni in una predisposizione geneticamente determinata o acquisita sulla quale si innescano dei fattori scatenanti come influenze dovute ad atteggiamenti familiari errati, traumi e condizionamenti ambientali nello stringere rapporti interpersonali.
Si è riscontrata una maggiore frequenza di ricorrenza della balbuzie in ambienti familiari eccessivamente correttivi, ansiosi e accondiscendenti.
Il disfluente spesso è una persona sensibile e socievole, molto interessata ai a rapportarsi con gli altri e a stringere amicizia: proprio per questo motivo è portato ad adottare un comportamento di difesa nei confronti della frustrazione che reca il suo disturbo e dalla difficoltà nell'esprimersi. Così diventa il contrario di ciò che vorrebbe essere e il suo atteggiamento si dirige sempre più a fondo nel mondo dell'introverso, completamente contrastato dalla sua sfera intensa, ricca ma inespressa.Nella sua crescita il bambino attraversa diverse fasi, e il momento in cui comincia a sviluppare un senso della competenza verbale da lui percepita è all'età di 6/7 anni, in cui si rende consapevole di balbettare e l'insegnante a scuola, così come il genitore a casa, dovrà cercare di modellare il comportamento del bambino, mantenendone o accrescendone l'autostima, che è un fattore fondamentale in questa fase perchè esso comincerà a vedere una rappresentazione di sè stesso incerta, frammentata e la maggior parte delle volte svalutata, così come lo è il suo modo di parlare.
Intorno agli 8 anni il bambino disfluente sarà completamente in grado di percepire precisamente la negatività delle sue competenze verbali: questo è il momento in cui è indicato iniziare una terapia multifattoriale, cioè che vede la sincronia di 3 figure che sono il terapeuta, la scuola, e la famiglia.
Nelle 25 sedi dell’Associazione Italiana La Nuova Parola si lavora sui fattori emotivi del balbuziente, coinvolgendo gli insegnanti con una grande attenzione alla gestualità e alle differenze fra bambini; la scuola, infatti è il luogo dove un individuo cresce, apprende e impara a rapportarsi con gli altri.
Nella vita di tutti i giorni il bambino passa la maggior parte del suo tempo a scuola e sebbene questo rappresenti un ambiente costruttivo, la dimensione sociale e il confronto con gli altri fanno si che esso vada incontro a sofferenze dello stato d'animo, frustrazioni ed esperienze poco piacevoli.
L'insegnante rappresenta il punto di riferimento dell'alunno e può intervenire sulla sua autostima sul modo di vedere il disturbo verbale: per mezzo dell'effetto pigmalione, si avrà un potere cognitivo sul bambino che può essere sfruttato facendo commenti sulla sua bravura nel parlare o raccontare storie, dandogli così un'idea positiva sulla sua parola; il beneficio si ottiene diminuendo il tasso di disfluenza verbale perchè il bambino crederà all'idea della propria parole così come è stata descritta dall'insegnante e diverrà per esso la realtà.
Ognuno ha un proprio vissuto, caratteristiche individuali, comportamenti geneticamente determinati, condizioni sociali dell'ambiente in cui si vive e si cresce: tutti questi fattori concorrono alla soglia di tolleranza della frustrazione scatenata da un problema, e che può trasformarsi in un blocco alla capacità di esprimersi e quindi verbalizzare nelle relazioni che sono i colori e le attese di vita che un individuo ha e matura nel tempo e nei rapporti con il mondo. In una dimensione di squilibrio nasce un blocco emotivo che elimina il desiderio di parlare ed esclude l'associazione della rappresentazione verbale come manifestazione di sè.
La cooperazione con gli altri in lavori di gruppo e nelle difficoltà comuni, l'allenamento alle attività creative, l'assunzione di responsabilità e la gratificazione derivante da ciò, sono dei metodi adeguati che l'insegnante può adottare per far sentire a proprio agio il bambino. Tutto ciò per prevenire l'emarginazione e la nascita di emozioni negative che colpevolizzano gli altri della propria condizione, o la negazione di un evento spiacevole pur di non affrontarlo verbalmente, o la messa in atto di sentimenti opposti a quelli che realmente si provano.
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