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Volontario sperimentale impegnato nei compiti di attenzione
visuo-spaziale della sessione di ipossia normobarica con la mascherina per la
respirazione della miscela di aria impoverita del 12.5 % di ossigeno generata
da un respiratore elettronico predisposto ad indurre un prescelto livello di ipossiemia
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Basta
una blanda riduzione dell’apporto di ossigeno al cervello per
compromettere lo stato di vigilanza e la risposta comportamentale.
Lo
rivela uno studio condotto dall’Istituto di bioimmagini e fisiologia
molecolare del Cnr in collaborazione con l’Università di Milano Bicocca.
La
riduzione anche minima dell’apporto di ossigeno al cervello, la
cosiddetta ipossia, compromette risposte comportamentali e livelli di
allerta, restano invece inalterate l’attenzione e il controllo sulle
azioni. È quanto emerge da uno studio condotto da Alberto Zani
dell’Istituto di bioimmagini e fisiologia molecolare del Consiglio
nazionale delle ricerche (Ibfm-Cnr) di Segrate (Milano), in
collaborazione con Alice Mado Proverbio del NeuroMI - Milan Center for
Neuroscience e docente di Neuroscienze cognitive presso l’Università di
Milano-Bicocca. L’indagine - presentata al “Society for Neuroscience
2014”, il Congresso mondiale di neuroscienze svoltosi a Washington
(Usa).
“L’ipossia
caratterizza diversi disturbi clinici, quali asma o lesioni cerebrali,
ma anche individui sani che soggiornano ad alte quote montane”, spiega
Zani. “Mentre sappiamo che l’ipossia, specie se grave, può avere effetti
sulla memoria o sulla capacità di calcolo, lo studio sui sistemi di
vigilanza è del tutto inedito. Per indagare l’influenza sui network
cerebrali che regolano l’attenzione visuo-spaziale, un campione è stato
sottoposto a due sessioni sperimentali in cui i 16 partecipanti
respiravano aria impoverita di ossigeno, che simula la condizione
atmosferica a circa 4.200 m di altezza. Dopo due ore ogni partecipante è
stato sottoposto ad alcuni compiti: rispondere il più velocemente
possibile premendo un tasto alla vista di stimoli target che comparivano
in diverse zone dello spazio visivo (preceduti o meno da segnali
indicatori), oppure scegliere quale tra due dita usare per la risposta a
seconda dello stimolo percepito”.
Durante
l’esecuzione, l’attività bioelettrica cerebrale (Erp) è stata
registrata utilizzando 128 sensori,
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Onde ERP registrate dalle aree posteriori del capo, corrispondenti
alle aree visive occipitali (O1, O2) del cervello, in risposta ai segnali (Cue)
validi (LC) ed invalidi (CC) ed ai successivi target (Target) nella condizione
di aria (AIR) e di ipossia (HYP)
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monitorando così il variare della
funzionalità in relazione ai compiti e alla stimolazione visiva. “In
condizione di ipossia, la velocità di risposta era rallentata in tutti i
compiti, tranne in quello in cui gli stimoli non erano preceduti da un
preavviso; inoltre l’entità della risposta bioelettrica cerebrale agli
stimoli visivi era ridotta di alcuni microvolt rispetto alla condizione
di aria ossigenata”, spiega Alice Mado Proverbio. “In generale, le
differenze rilevate indicano come anche una lieve ipossia agisca sul
sistema cerebrale di regolazione dello stato di allerta, compromettendo
la velocità di risposta agli stimoli. Il dato è particolarmente
rilevante data la riduzione moderata di ossigeno praticata: il 12,5% in
meno della quantità normale”.
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Attivazioni della corteccia cingolata anteriore (ACC, BA24)
e del giro para-ippocampale (PHG, BA35-36) dell’emisfero sinistro, ottenute a
partire dalla differenza calcolata tra le condizioni di aria ed ipossia nell’intervallo
di latenza tra 420-480 ms, immediatamente precedente l’arrivo dei target
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“Grazie
alla tecnica di risonanza magnetica tridimensionale Loreta (Low
resolution electromagnetic tomography) è stato possibile inoltre
evidenziare un’attivazione della corteccia cingolata anteriore mediale e
del giro para-ippocampale dell’emisfero sinistro che suggeriscono uno
stato di sforzo o sofferenza indotta dall’ipossia”, conclude Zani.
“I
dati emersi hanno importanti implicazioni per gli individui che operano
in ambienti estremi, per lo studio dei processi nervosi implicati negli
stati di coscienza e nei pazienti in stato di sofferenza cerebrale.
Rilevanti risultano inoltre gli effetti dello stress da esposizione
prolungata ad ambiente pressurizzato, qual è quello degli aerei
(ipossiemia da volo) o all’aria condizionata al livello del mare
(ipossia normobarica), dove manca il ricambio di aria naturale”.
Roma, 28 novembre 201
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